“Il disegno degli ambienti e dei personaggi, pur senza scimmiottare vistosamente modelli inarrivabili e dunque controproducenti, insegue un vago piglio scorsesiano, con un gusto operistico per l’orchestrazione dei singoli dettagli e un piglio pop che abbassa le pretese dalla confezione ma allo stesso tempo le dà vigore e consistenza (un elemento che mancava, ad esempio, nel più che accettabile Maltese – Il romanzo del commissario).
A tratti Il cacciatore, abbastanza precisa nel definire lo spirito di un’epoca già post-tutto e dunque già indefinibile, potrebbe sembrare diretta da un emulo in miniatura del David O. Russell di American Hustle, ma con un bagaglio più snello, meno pretenzioso. Come se le didascalie a effetto, i ralenti studiati e il tocco tra il grottesco e il fumetto del memorabile prologo de Il divo di Paolo Sorrentino potesse ispirare in modo salutare anche un prodotto medio del piccolo schermo, per elevarlo con scioltezza e intelligenza al di sopra di una soglia di una mediocrità dalla quale certi manufatti per la nostra tv raramente si schiodano…”